Chi era

di Italo Francesco Baldo

Muore la lampa, e scuro un vel si abbassa
Sullo sguardo dell’uom, che sbigottito
    Scorge per entro l’ombra Iddio che passa
Novi soli a librar nell’Infinito.

Da “Natura e scienza”

Giacomo Zanella, poeta, sacerdote, educatore, patriota nato a Chiampo (VI) il 9 settembre 1820 e morto a Cavazzale di Monticello Conte Otto (VI) il 17 maggio 1888.

Fu una delle figure più rappresentative della cultura italiana a Vicenza, che non confuse mai come esibizione intellettualistica, ma con umiltà propose a quanti lo avvicinavano e a coloro che conobbero la sua opera.

Autore di molte composizioni poetiche che riguardavano sia gli affetti familiari, sia la natura, ma anche la storia e, in particolare, il progresso scientifico-tecnico dell’epoca ha avuto nell’ultimo scorcio della sua vita la capacità di definire la poesia come quella della “piccole cose”, della quotidianità vissuta però con chiaro significato della loro importanza.

La raccolta Astichello con i suoi quasi 100 sonetti è il compimento della sua opera, insieme a composizioni note soprattutto quella che è considerata il suo capolavoro: Sopra una conchiglia fossile nel mio studio, scritta nel 1864 quando iniziava il dibattito in Italia attorno alle ipotesi dell’evoluzione formulate da C. Darwin.

Ciò che più di tutto interessava al poeta non era la teoria scientifica in se stessa, quanto “i sentimenti che dalle scoperte della scienza nascono in noi”.

In questa prospettiva i versi di Milton e Galileo, poesia che può benissimo, come è stato già compiuto da Mario Bardin di Chiampo, essere opera teatrale, dove non tanto, come in quella di B. Brecht prevale la dimensione sociale e anticlericale, tipica del comunismo marxista con impianto positivista, vi è la considerazione dell’animo dello scienziato, che non volle mai ribellarsi alla fede e alle istituzioni, anche se certamente soffrì e molto.

Accanto a questa trova posto quel poema, Corrado, in cui si riflette con la poesia sulle tristi condizioni degli emigranti e si fa comprendere come l’uomo debba invece essere attento proprio a chi soffre.

Non mancano nella sua poesia i riferimenti al luogo natio, che lasciò all’età di nove anni, per formarsi a Vicenza nel locale Seminario Vescovile, dove appresa da illustri maestri l’amore per la classicità, che egli amò e fece fondamento del suo poetare, mai con l’imitazione, ma sempre come riferimento, portando anche il linguaggio moderno dentro le sue opere e poetò con grande amorfe verso la natura la sua magnificenza ,a anche con l’insegnamento che essa fornisce all’uomo attraverso il paesaggio, i rumori canterini.

Così gli affetti familiari, particolarmente quello della madre, l’amore per la natura che amò fanciullo con le sue scorribande nel territorio della Valle del Chiampo, quello della patria che gli insegnò il reduce napoleonico Domenico e la fede che con santi detti gli fu insegnata fin da bambino hanno costituito i riferimenti principali della sua vita e ad essi non venne meno, nemmeno quando fu perseguitato dalla polizia austriaca che dominava nel Veneto o quando fu affranto da una pesante crisi esistenziale.

Fu docente anche universitario di Letteratura italiana e Magnifico Rettore dell’Università di Padova e in ogni circostanza, anche quando incontrava sconosciuti durante le sue passeggiate, aveva unaparola buona, mai insuperbito né dalla tonaca né dal successo che gli fu tributato in tutta Italia, dalle Alpi fino a Calatafimi e diverse sue composizioni furono anche musicate, una dal noto autore napoletano Luigi Denza, l’autore di Funiculì-Funiculà.

Visse il sacerdozio con serietà e compì il suo dovere, riflettendo anche sulla situazione della Chiesa e dei suoi problemi, soprattutto contro certo esibizionismo dal pulpito di qualche presbitero.

Fu, educatore ed intese l’opera degli insegnanti sempre efficace se essa ha una autentica prospettiva morale.

Ebbe buona fama e se qualche detrattore vi fu, tra cui Benedetto Croce che seguì le orme di Vittorio Imbriani, non sminuirono il poeta, che fu seguito e amato, tanto che dei suoi versi si impadronì la stampa di cartoline nelle quali la natura soprattutto era raffigurata e sentita, una produzione che giunge siano agli anni Novanta del secolo scorso.

Vicenza lo ebbe con amore e con amore lo ebbero i suoi studenti, tra cui Fedele Lampertico, Antonio Fogazzaro, Luigi Luzzatti tanti altri, alcuni verseggiarono, imitandolo, come il veronese Alberto di Sarego del ramo Cortesia. Gli scolari e gli studenti mandarono a memoria i suoi versi particolarmente la poesia Sopra una conchiglia… e diversi sonetti.

Antonio Fogazzaro e Fedele Lampertico si adoperarono moltissimo per consolidare la fama del poeta che trovò nel 1893 in un importante monumento opera dello scultore Carlo Spazzi di Verona, posto in Piazza san Lorenzo a Vicenza, il suo compendio, ben illustrato dal cugino Alessandro Rossi e dalla allieva la poetessa Vittoria Aganoor.

Celebrato fu il centenario della nascita, il cinquantesimo dalla morte e il centenario nel 1988 con pubblicazioni rilevanti di illustri studiosi, edite diverse a cura dell’Accademia Olimpica di Vicenza.

Il testimone della considerazione intorno alle opere di G. Zanella è stato preso dalle Amministrazioni del Comune di Monticello Conte Otto nel cui territorio si trova, a Cavazzale, la villetta del poeta, che ricercò in quei luoghi la quiete interiore e la novità della poesia con la silloge Astichello, dal nome del fiume che bagna proprio il confine della villa.

Villa Zanella in una cartolina d’epoca.

Un Premio Letterario, intitolato a Giacomo Zanella, giunto alla 15ma edizione e lo stimolo a tante ricerche sui vari aspetti storico, letterari, musicali, ecc. della figura del poeta hanno trovato felici riscontri e attenzione, dando così modo di riconsiderare un protagonista della letteratura, purtroppo non sempre letto nella sua vastità e nella sua importanza.

Certamente il bicentenario dalla nascita avrà la possibilità di far riflettere intorno a questo poeta, abbandonato dalla critica, che, in verità, lui non amava, perché condizionava la lettura e il gustare la poesia stessa e finiva, soprattutto per i giovani, con il “sassificare le menti”, non lasciando libere nella lettura dei versi… di qualsiasi autore fossero anche stranieri contemporanei, che Zanella tradusse con uno stile che non sapeva di eccessi di filologia, ma molto di spirito poetico.

Oggi lo riprendiamo in mano nuovamente e lo proponiamo con una poesia del suo amico Andrea Maffei, che ci appare come una buona indicazione, lasciando la critica alla critica roditrice dei topi, e prendendo nella mente e nel cuore ciò che fa la poesia in noi e che ci aiuta a migliore vitae magari scriviamo anche noi, come suggeriva Zanella, “quello che l’ingegno ci suggerisce e il cuore ne trascina a dire.”

A Jacopo Zanella

M’era ignoto il tuo nome, ignoto il canto,
Jacopo, il dì che all’anima mi prese
La tua prima armonia, di cui cortese
Mi fa l’inclita Ermina. O quale incanto!
No, che spento non è quel foco santo
Che il cor di Giusti e di Parini mosse:
Tu l’erede ne fosti, e il bel paese
Sui venerati avelli asciuga il pianto.
Fa che a vita ne torni il vero, il casto
Sermone a quelle immagini profonde
Che sono a tanta vanità contrasto.
Segui il calle animoso, ad ugual fronte
Si cingerà, chi al vuoto o guasto
Pensier l’Arte si vela e non risponde.