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Giacomo Zanella – Ritratti

Chi era e come era: il carattere poco conosciuto dell’abate Zanella.

da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno V – 17 maggio 2020

Quando si parla o si studia il poeta Giacomo Zanella (Chiampo 9 settembre 1820- Cavazzale di Monticello Conte Otto 17 maggio 1888), sacerdote, educatore in Seminario e in vari Imperial Ginnasi Liceali del Veneto, professore di Letteratura Italiana e Magnifico Rettore dell’Università di Padova, lo raffiguriamo, aiutati dalla grande statua in marmo di Carrara eretta in suo onore a Piazza San Lorenzo Vicenza, dal busto al Pincio a Roma e da altri ritratti o busti, come un uomo serio, quasi severo, e in apparenza non dedito a passatempi di qualsiasi genere, ma da fanciullo scorazzava pei prati e i boschi nelle vicinanze del paese natio come ci narra in diverse composizione e ne La veglia:

“Che son? che fui? Pel clivo
Della vita discendo, e parmi un’ora
Che garzoncel furtivo
Correa sui monti a prevenir l’aurora.”

Il busto sito sulla salita del Pincio di Roma, opera dello scultore Carlo Spazzi (1920).

Diversi autori hanno narrato la vita del poeta, come ricordato alla fine in Bibliografia, altri, contemporanei, ne hanno brevemente delineato la figura e il carattere.
Tra quest’ ultimi piace riportarne alcuni.
Antonio Fogazzaro, l’allievo, così lo delinea a Carlo Felice Biscarra nella lettera a lui diretta da Montegalda il 14 ottobre 1889: “Lo Zanella fu di statura mediocre e forse men che mediocre, ma non compariva tale perché la persona era asciutta e sottile alquanto. L’andatura ebbe sempre fiacca, e come cascante, pareva l’andatura di un uomo assorto in altri pensieri, il cui spirito, tutto raccolto nella fronte, non curasse di reggere le altre membra. Stando a crocchio teneva abitualmente le mani in tasca e i gomiti sporgenti all’infuori; allora se la compagnia eccitava il suo umore scherzoso, pareva trasformarsi, il portamento diventava eretto, le membra riprendevano la elasticità e l’energia della giovinezza. Ma nel suo portamento più solito e naturale, e meno, direi, inestetico, nell’atto del meditare, in quell’accasciamento della persona sotto il peso del pensiero, soleva tener le mani congiunte dietro la schiena, curvando il collo e porgendo il capo avanti, non però piegato, non col mento sul petto ma proteso come di chi cerca discerner con gli occhi una cosa lontana. Usava una specie di redingote alquanto lunga, che portava volentieri aperta; calzoni corti, da prete, calce e scarpe con fibbia, cappello a cilindro. Non portava la sottana e il cappello a tre punte che la mattina per andare a dir messa. D’inverno portava un paletot lungo. In casa usava la veste da camera. […] La fronte dev’essere veramente carica di pensiero: non dirci illuminata ma quasi oscurata da un’azione troppo intensa della mente.”
Così lo immaginiamo ancor oggi, ma….

Monumento in Piazza San Lorenzo a Vicenza, sempre realizzato da Carlo Spazzi (1888).

Ma il carattere era ben diverso, certo serio negli impegni, certo ligio ai doveri di sacerdote, educatore ecc., ma anche capace di ilarità, di ironia “La compagnia di questo grande poeta era graditissima; i piccoli e i grandi ne fruivano ed una volta avvicinatolo, si agognava di rivederlo, di riparlargli.” – Era un mago, ha scritto Antonio Fogazzaro parlando di Zanella e pure Angelina Mangilli Lampertico lo ricorda tale. – “Nella sua memoria miracolosa aveva una specie di casa magica del ridicolo, dove persone incontrate un momento, aneddoti uditi una volta, entravano per non uscirne più; si trasformavano poco a poco, pigliavano la più squisita figura grottesca, ch’egli ridiceva poi agli amici con un tal scintillio degli occhi, con una tale ilarità frenata sulle labbra, fervente in tutta la persona da mettere il buon umore in quelli che stavano ad udirlo. Aveva dei momenti di schietto umorismo, e, come i più grandi poeti, ebbe a sé connaturati l’urbanità e la facezia.
Al modo gioviale accoppiava l’aurea semplicità del cuore. Ei parlava col letterato e non disdegnava di fermare il contadino e discutere famigliarmente dei lavori campestri, consigliando ed incoraggiando. Studiava indefessamente e senza limiti; ed allora di distogliea dallo studio, quando proprio la testa gli doleva e stanca la mente non gli permetteva di comprendere più quello che leggesse. […]” compose durante le passeggiate in campagna i “versi dell’Astichello e molte altre poesie, frutto non sempre di lungo studio, ma della sua fervida e calda immaginazione.”


Il poeta anche quando giunse a fama, non s’atteggiò mai a “grande”, ma conservò sempre la sua umiltà, quella di cui gli spiriti insigni sono capaci. Infatti “sia che insegnasse ai giovani all’Università e del Liceo, sia che insegnasse ai fanciulli, era sempre lo stesso, sempre ammirabile e ammirato, entusiasmava allo stesso modo, perché faceva trasparire la bontà del suo cuore, le virtù del suo animo incontaminato e puro, in ogni parola che preferisse, in ogni riga che vergasse con la sua penna fatidica.” Così A. Ferrandina (Giacomo Zanella nel primo anniversario della inaugurazione del suo monumento, Milano, Tipografia di Serafino Ghezzi, 1894) che nel suo saggio ricorda anche: vedendolo nella sua villetta sulle rive dell’Astichello a Cavazzale di Monticello Conte Otto, che fu il suo rifugio: “Tutti i desideri del poeta erano appagati; ormai, non aveva più che desiderare. Questo luogo di pace e di conforto l’accoglieva nell’afa cocente del sole d’estate facendolo cullare in un mondo nuovo, in braccio alla natura ispiratrice delle più grandi e belle creazioni artistiche. Era in questo luogo che gli amici e gli ammiratori andavano a visitare il gran Poeta e tutti venivano accolti benignamente e quando pure con festa! Ogni maggio le bionde fanciulle delle Dame inglesi si recavano pellegrinando alla villa del loro maestro e direttore, sicure d’essere accolte con espansione ed avere ognuna una parola, un sorriso, un fiore, una frutta. La compagnia di questo grande poeta era graditissima; i piccoli e i grandi ne fruivano ed una volta avvicinatolo, si agognava di rivederlo, di riparlargli.” Zanella era sempre pronto a raccontare, commuovendo, le storie del Vecchio Testamento e distribuendo confetti, talora sembrava “bambino tra i bambini”, mai dimentico però di essere con tutti sacerdote.

Un uomo intelligente sa bene che smettere di ridere fa iniziare i guai, e purtroppo per tre inverni Zanella non rise, fu cupo e triste, ma, risollevatosi, ebbe modo di riprendersi e dare a noi quei versi che maturarono proprio ad Astichello, dove soggiornava in primavera e in autunno. Qui si ebbe il compimento della sua poesia, che affondava le radici nella natura, nell’arte antica e moderna, nelle amicizie e soprattutto ricordandosi sempre che essere un po’ beffardi, come la voce del cuculo da lui udito fin dalla fanciullezza a Chiampo, è indice di saper prendere il mondo, come poetò in Domenico o le memorie della fanciullezza e nel sonetto VIII ribadì:

“Tu, povero Astichel, solo sei vivo,
Tu che scorrendo e dileguando insegni
Come tutto nel mondo è fuggitivo.”

E davvero Zanella era capace di fuggire, correva, anzi quasi a perdifiato, per la campagna di Cavazzale onde non incontrare, lui modesto, quei dottorelli leggiadri che celebrano nelle occasioni… chiunque.

Particolare del monumento a Vicenza.

Ad uso di chi vuol conoscere la vita di Giacomo Zanella (1820-1888)
Diverse sono le biografie del poeta G. Zanella, edite fin dal 1888, molti altri testi che illustrano la sua poesia riportano, talora in breve, la sua vita.
In tempi recenti anche il web riporta la voce “Giacomo Zanella”, narrandone la vita e le opere. Tutte sono di utilissima consultazione e particolarmente quelle reperibili nel web, addirittura possono essere lette, comodamente seduti in poltrona o allo scrittoio; altre fonti sono quelle di A. Fogazzaro, Lettera 14 ottobre 1889, quella di Angelina Lampertico-Mangilli, Giacomo Zanella ed i fanciulli, Vicenza, Tip. S. Giuseppe, 1893 e di A. Ferrandina, Giacomo Zanella nel primo anniversario della inaugurazione del suo monumento, Milano, Tipografia di Serafino Ghezzi, 1894.
Di seguito indichiamo le più rilevanti:

  • Raffaello Barbiera, Giacomo Zanella, “L’Illustrazione italiana”, 25 (1888), n. 29, 8 luglio, pp.21-22.
  • Giuseppe Biadego, Giacomo Zanella, Commemorazione letta alla R. Accademia di Lucca, 27 giugno 1888, ora in ID, Profili letterari, Milano, L.F.  Cogliati, 1903, pp. 79-98.
  • Sebastiano Rumor, Della vita e degli scritti di Giacomo Zanella, Venezia, Stab. tipo-lit. Fratelli Visentini, 1888.
  • Fedele Lampertico, Giacomo Zanella, Ricordi, Vicenza, Galla, 1895.
  • Antonio Zardo, Giacomo Zanella nella vita e nelle opere, Firenze, Succ. Le Monnier Edit., 1905 (
  • T. Franzi, Giacomo Zanella, 1820-1888, Torino, G. B. Paravia e C., 1940.
  • Elizabeth Greenwood, Vita di Giacomo Zanella, Vicenza, Neri Pozza, 1990.
  • L. Perazzolo, Giacomo Zanella: vita e poesia, Vicenza, Tip. editrice ESCA, 1988.
  • G. Toffanin, I momenti padovani nella vita di Giacomo Zanella, Padova, CEDAM, 1991.
  • G. Guarda, Una vocazione sofferta: Giacomo Zanella: la sua vita, le sue poesie, il suo tempo, con il patrocinio del Consorzio di proloco “La Serenissima-Valchiampo”, Vicenza, Nuovo Progetto, 1988.

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